Testa
di
Satiro
La cosiddetta “Testa di satiro”, databile al I sec. d.C, è uno dei reperti più significativi della Feltria romana e, vista la sua alta qualità stilistica, per lungo tempo era stata datata dalla critica fra i secoli XVII e XIX. Solo nel 2006, grazie a un restauro che ha permesso di esaminare la tecnica di esecuzione e individuare la provenienza del marmo dalle cave di Luni, l’opera è finalmente stata ricondotta all’età romana.
Si noti il naturalismo della posa di questo giovane satiro sorridente, connotato dal naso camuso e le orecchie a punta, il cui volto è lievemente inclinato e con il collo in leggera torsione verso sinistra. Le guance carnose e il mento assecondano il movimento delle labbra, la fronte è ampia e liscia, ciocche corpose di capelli sono raccolte da una fascia che scivola sulla spalla. In origine, la testa era completata da una ricca corona vegetale, conservatasi solo in parte, e da inserti di pasta vitrea nelle cavità oculari. Manca la calotta cranica, perché era stata realizzata a parte secondo una tecnica ampiamente attestata nella scultura romana. Infatti nella parte inferiore c’è uno sperone funzionale al suo aggancio con il resto della statua. Il movimento vivace e l’attenzione del satiro fanno pensare che fosse affiancato da un altro soggetto alla sua sinistra o da un grappolo d’uva tenuto in mano.
Al fine di avanzare un’ipotesi sulla funzione originaria dell’opera, risulta indicativo il luogo del rinvenimento, avvenuto nel 1935 nel corso di uno scavo occasionale al raccordo tra via Mezzaterra e piazzatta Trento Trieste. Una zona, situata all’attacco del versante collinare, del tutto appartenente al contesto urbano di Feltria, che, in base a recenti indagini archeologiche, costituiva un quartiere residenziale di buon livello. Pertanto il satiro doveva adornare una bella casa, magari decorandone un giardino.
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